Il Fidanzamento
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L’ESPERIENZA DEL FIDANZAMENTO
L’esperienza del fidanzamento come sentimento d’amore che unisce due giovani “per lungo tempo e almeno fino agli anni Sessanta nel nostro paese ha coinciso con il desiderio degli interessati d’intraprendere un preciso cammino di conoscenza e di confronto, nella prospettiva del concretamento del progetto matrimoniale e della prefigurazione della famiglia d’elezione”[1].
E’ certo che questa realtà oggi sembra aver avuto una radicale modificazione. L’esperienza del fidanzamento, oggi, è valutata dai più come qualcosa d’inattuale o di ormai superato.
I giovani anziché di fidanzamento preferiscono parlare di “stare insieme”, vedendo lo stesso come un affare privato che riguarda soltanto i due interessati e poter retrocedere da questo impegno quando il rapporto implica responsabilità.
Il tempo del fidanzamento rischia, di conseguenza, come afferma il Direttorio: “di essere visto semplicemente come una fase di passaggio senza un preciso significato”. Il fidanzamento rischia di essere ridotto, dunque, ad un solo stare insieme.
Su termini come amore, fidanzamento, fedeltà, ecc., nella nostra società ci sono delle interferenze che non fanno cogliere in maniera piena il loro significato. Per usare un’immagine, è come quando andiamo in macchina, cerchiamo la stazione, ci piace quella data canzone, ma non riusciamo ad ascoltarla, perché la musica si intreccia ad altre musiche e le parole sono difficili da comprendere. Le lenti con cui guardiamo queste realtà sono deformanti, la logica è quella dell’utile (il mio utile, il mio interesse ecc.), del provvisorio, dell’impossibile, del sacrificio. Domande come:”E’ veramente possibile donarsi l’uno all’altro?”, “Una tale intenzione può durare tutta la vita?”, “Che cosa ne sappiamo del nostro amore fra vent’anni?”, sono in aumento in questo periodo.
Questa situazione interpella non soltanto la Teologia e il Magistero, ma anche, e soprattutto, la Pastorale. Per ‘pastorale’ non intendo qui tanto, o primariamente, la parte della scienza teologica che si studia nei Seminari e nelle Università Teologiche, ma l’impegno delle nostre comunità parrocchiali di tradurre nel concreto del vissuto quotidiano le esigenze del Vangelo di Gesù Cristo che rivela e annuncia ad ogni uomo di buona volontà’ la bellezza e la bontà del matrimonio. Il termine pastorale, prima di indicare cose da fare, suggerisce un atteggiamento e un modo di essere nel contesto sociale ed ecclesiale. La pastorale – la cui intrinseca essenza è di essere a servizio del bene supremo dei fedeli, vale a dire la salvezza – implica sia l’aspetto della testimonianza che quello dell’azione. La Chiesa è chiamata a diffondere il messaggio evangelico innanzitutto attraverso la sua testimonianza, la quale lo rende immediatamente credibile interpellando interiormente la coscienza dell’uomo a ‘leggere’ la propria storia alla luce della Parola di Dio. Nel nostro caso specifico si tratta di chiederci: come annunciare il Vangelo dell’amore e della vocazione coniugale?
Di grande interesse sono le parole di Giovanni Paolo II al n.4 dell’Esortazione apostolica Familiaris Consortio: “Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l’uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano. Questa conoscenza è, dunque, una imprescindibile esigenza dell’opera evangelizzatrice. E’, infatti, alle famiglie del nostro tempo che la chiesa deve portare l’immutabile e sempre nuovo vangelo di Gesù Cristo, così come sono le famiglie implicate nelle presenti condizioni del mondo chiamate ad accogliere e a vivere il progetto di Dio che le riguarda…”.
Il Papa ci invita ad incarnare il Vangelo nella realtà odierna con tutta la sua complessità, a impostare la nostra pastorale tra rischio e coraggio[2]. Il rischio di uscire dal tempio, dalle sicurezze, dagli schemi, dal comune sentire, per intraprendere sentieri inediti e non sperimentati, avendo il coraggio di parlare con chiarezza, di annunciare il Vangelo senza sconti. Il coraggio di muoverci quando gli altri stanno fermi, il coraggio di aprire nuovi spazi di dialogo affrontando temi scomodi ad un modo comune di sentire.
IL CONTESTO SOCIALE E CULTURALE
Per delineare il contesto mi avvarrò dei dati provenienti da ricerche empiriche svolte negli ultimi anni:
Ø Il primo dato che emerge è che in un contesto di accentuato permissivismo i giovani tendono
a valutare in termini di normalità i rapporti prematrimoniali e la convivenza. I rapporti eterosessuali sono valutati come necessari e naturali, spesso lo scambio sessuale diventa l’iniziale e lecita forma di comunicazione. L’esperienza sessuale prima del matrimonio diviene quasi garanzia della durata e della riuscita dello stesso. Mancando una scala di valori morali condivisa dalla collettività dalla quale trarre indicazioni per compiere le scelte personali, i giovani tendono a produrre autonomamente i loro codici etici: “appare pronunciato l’orientamento ad attribuire all’esperienza un carattere normativo, interpretare come bene o come elemento positivo una pratica di vita ricorrente o il comportamento prevalente o il proprio sentire; e ciò senza avvertire l’esigenza di un confronto ampio, senza impegnarsi in una riflessione sui principi…”[3]
La presunta neutralità etica sembra una dei maggiori impedimenti alla crescita dei giovani, che non riescono a strutturare una propria identità armonica e complessiva e non riescono a rintracciare un filo conduttore chiaro per la loro esistenza. La società neutra, che non prende posizione, che pone le varie proposte valoriali sullo stesso piano, indifferente al bene e al male genera difficoltà di crescita nei giovani. Essi hanno molto a livello quantitativo per crescere ma poco per formarsi e formare le coscienze.
Ø Il secondo dato che emerge è che il legame d’amore è vissuto in termini di precarietà, fino a
che dura l’attrazione reciproca. Per molti giovani il sentimento dell’amore ha ben poco a che vedere con l’istituzionalizzazione e la continuità del legame matrimoniale. L’opzione per il matrimonio e la famiglia con l’andare del tempo sembra divenire sempre più difficile. Di certo il rinvio della scelta, il relativismo etico e l’inclinazione a non compromettersi per tutto il resto della vita prendono il sopravvento. Su questa realtà incide profondamente anche il fatto che il futuro è percepito come qualcosa di opaco e di indecifrabile, estraneo al tempo presente. In questo contesto il giovane rischia di rimanere prigioniero del presente, senza alcuna progettualità che dia senso alla sua vita.
La temporaneità del presente prevale sull’istanza della progettualità, l’amore resta schiacciato dal presente. Questa realtà offusca il tempo nelle sue dimensioni di passato, presente e futuro. Il passato resta più passato e non ha alcun valore per il presente, il futuro sembra più carico.
Scrive L. Biagi:
“Nel momento in cui la storia non offre più come prima delle prospettive, non offre più una progettualità che richieda il nostro impegno, nell’ora in cui le incognite rischiano di prevalere sulle speranze, l’individuo viene semplicemente travolto dalla cogenza dell’attimo presente, si sente spinto a bere fino in fondo quel che si propone come istante presente, insegue ciò che gli si propone come positivo, come piacere, come benessere”[4].
Pensiamo , quindi, quanto sia difficile vivere la durata, l’impegno o la progettualità.
Ø C’è una tensione tra individualismo e reciprocità. Si sta insieme, si condivide un cammino,
si converge in un’esperienza amorosa, in quanto la relazione risulta significativa, risponde cioè a criteri della soddisfazione reciproca sia in termini di scambio di piacere che di possibilità comunicative. Venendo meno queste realtà ogni partner riprende la propria libertà.
Un altro elemento che s’inserisce in questo discorso è che si entra in un rapporto con alte aspettative personali di autorealizzazione e, a volte, si è poco disposti a vivere la reciprocità, la solidarietà, la comprensione e la donazione. Il rischio, dunque, è quello di vedere tutto questo come un obbligo, come un dovere, si rivendica una propria libertà di agire, ci si sente stretti in un rapporto che sembra soffocarci: “Non ho più spazio per le mie cose, per fare ciò che mi piace e diverte”.
Infine, mi sembra alquanto significativa la perdita dell’orizzonte religioso. Cadendo quest’ultimo sembra impossibile percepire il fidanzamento come “tempo di grazia”, o il matrimonio come sacramento.
QUALI PROSPETTIVE
Le descrizioni delle caratteristiche principali della nostra società e la ricaduta sulla realtà del fidanzamento hanno indicato il contesto in cui il ruolo dell’operatore pastorale si incarna. Gli operatori sono chiamati ad essere presenti nel cammino dei giovani fidanzati, condividendo con loro la fatica della riflessione e della crescita. Sono chiamati a ridare speranza, a mostrare fiducia nei confronti delle loro potenzialità nonostante le difficoltà che possono incontrare, i limiti personali e gli insuccessi. Troppo spesso sembra spirare un vento di rassegnazione e di rinuncia. Parecchi sembrano dire come Mosè: “io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo: è un peso troppo grave per me “ (Nm 11,14).
L’educazione ha bisogno di tempo e di pazienza, non a caso Gesù, fa riferimento molto spesso alle figure del vignaiolo e del contadino. Essi fanno del tempo e della pazienza la loro forza. Gli operatori sono chiamati a far riflettere sull’esperienza del fidanzamento come momento fondamentale per la propria e altrui maturazione. In questo periodo, il singolo ha la possibilità di considerare il partner non semplicemente come oggetto del desiderio, ma come interlocutore privilegiato di un esclusivo rapporto di comunicazione. Il fidanzamento, inoltre è da valutare come esperienza strettamente collegata alla progettazione esistenziale. Durante il fidanzamento i soggetti sono tenuti a vagliare la loro scelta affettiva e ad assumere particolari impegni e responsabilità in riferimento ad essa, nella prospettiva del progetto matrimoniale e familiare.
I giovani vanno aiutati, come afferma N.Galli: “ a combattere la superficialità e l’improvvisazione, a studiarsi prima di scegliersi, ad accertare se le loro differenze siano compatibili con la vita in comune”. Tutto questo sta a significare che nel fidanzamento si pongono le basi per camminare sulla via della progettualità e della continuità del legame, in alternativa a quanto viene pubblicizzato nella società odierna. Il fidanzamento, inoltre va orientato verso la maturazione della disponibilità della coppia a progettare la sua apertura alla vita. Occorre aiutare i fidanzati a riflettere sul tema della fecondità coniugale, assumendo un atteggiamento critico verso la cultura dominante, che “propugna la chiusura della coppia su di sé e la valutazione del figlio come ostacolo alla pienezza personale e coniugale”[5].
E’ necessario far comprendere che Dio sostiene questo cammino e che l’amore coniugale è una vocazione. Esso diviene risposta a un Dio che è infinito amore e che chiede all’uomo e alla donna collaborazione per continuare questo magnifico progetto.
L’operatore non può aver fretta, non può sentirsi mai arrivato né sentirsi colui che salva il mondo. Diviene necessario gettare il seme ma aspettare che cresca e maturi con i suoi tempi e ritmi. Dovremmo riflettere in profondità Deuteronomio 32,10:
“Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali”.
Se questo è il nostro Dio, che parte da un contesto in cui sembra impossibile qualunque azione educativa, che ha cura, che cerca l’uomo, che ridona speranza, come suoi figli non possiamo che rispondere con il coraggio dell’amore e con la fiducia che le nostre fatiche non andranno mai disperse.
[1] L.PATI, L’esperienza del fidanzamento, in “Pedagogia e vita” Novembre-Dicembre 2001 n.6, p.51
[2] L.SEBASTIANI, A partire dai cocci rotti…, Cittadella Editrice, Assisi 2001, p.40.
[3] F.GARELLI, I giovani, il sesso, l’amore, Ed. Il Mulino, Bologna 2000, p.34.
[4] L.BIAGI, Religioni, cultura e valori. Problemi e prospettive, in “Religioni e bioetica, Editrice Gregoriana, Padova 1997, p.32.
[5] L.PATI, op.cit. p.64.