Il Senso Di Colpa Nel Peccato
Il senso di colpa nel peccato
Quante volte abbiamo avuto reazioni di meraviglia di fronte a episodi di cronaca nera: uccisioni di parenti stretti, amici… Tutto giustificabile con la pazzia? Mi sembra sbrigativo rispondere così, perché i soggetti sono persone normali… che non colgono la gravità del gesto. Che fine ha fatto allora il senso del bene o del male? Quei valori che ci guidano nelle singole scelte, dove sono? O, forse, dobbiamo chiederci cosa è il peccato? Esso è trasgressione in piena avvertenza e deliberato consenso di un comandamento divino.
Se ritornassimo ai casi di cronaca nera prima richiamati, ciò che colpisce è il volto degli assassini: sembra notare nei loro volti indifferenza, se non addirittura una sensazione di stupore, quasi un non rendersi conto della gravità o sul fatto di aver suscitato tanta emozione e attenzione.
Quel volto sembra quasi una proclamazione d’innocenza: cosa ho fatto? Vediamo un attimo il senso della parola innocenza: secondo l’aspetto giuridico è estraneità ai fatti o eventi delittuosi. Ma l’innocenza, nella sua accezione morale più profonda, indica che l’azione è da considerarsi in-nocente, incapace di nuocere (dal latino non-nocens). A questo punto oggi si è ingenerata nella nostra cultura la convinzione che dichiararsi innocenti significa “non riconoscere al fatto il carattere di colpa”. Perché oggi siamo arrivati a questo punto? Per aver identificato il senso di colpa con la sofferenza dell’uomo e di conseguenza aver abbinato la felicità alla liberazione dal senso di colpa. Negli ultimi secoli alcuni pensatori hanno espresso le seguenti idee:
Rousseau: la colpa è della società che ha introdotto le norme e quindi la possibilità di trasgredirle. Per lui l’uomo è naturalmente buono e lasciato solo potrebbe esprimere tutta l’innocenza della sua vita.
Nietzche: i deboli hanno creato il senso di colpa scaricandolo sulle persone forti.
Freud: l’interiorizzazione di consuetudini sociali in cui tutti devono configurarsi e che è divenuta una gabbia da cui nessuno può uscire.
Kafka: nel romanzo “Il processo” emerge il senso di colpa per un errore mai capito ed identificato. Infatti il protagonista vaga per tribunali, avvocati e ragionamenti interiori, e alla fine… è condannato senza sapere il perché. Ma per il protagonista è comunque una liberazione.
Ritengo, allora, che il senso di colpa non debba essere né eliminato (Rousseau, Freud e Nietzche) e nemmeno alimentato inutilmente (Kafka) anche perché se è vero che posso peccare è altrettanto vero che posso fare il bene.
La grandezza del cristiano consiste nella decisione di prendere un compito, di restarne fedele e in caso di caduta di riscattarsi e riprendere con fiduciosa speranza. Quindi, né cupa presenza del senso di colpa e nemmeno irresponsabilità. Ma possibilità di uscire dalle tenebre e andare verso orizzonti luminosi talvolta dolorosi della libertà.
Don Michelangelo Tondolo